Cevo

Non si conoscono riferimenti o dati sicuri sul fatto che nella zona, ove ora sorge il borgo di Cevo, vi fossero siti abitati o frequentati dagli antichi Camuni in età preistorica. Forse l'oggettiva difficoltà di raggiungere la Valle di Saviore, valle laterale della Valle Camonica, ma molto isolata e a quote piuttosto elevate, rendeva il sito isolato, inospitale e fuori dalle vie di comunicazione. In epoca post-romana Cevo doveva essere un piccolo agglomerato di baite o di capanne di allevatori, forse stanziali, ma la sua collocazione geografica, che lo ha sempre reso la porta della Val Saviore, ci permette di affermare che prima dell'anno mille esisteva certamente un nucleo abitato. Questo è confermato anche da una data: il 1072 che appare scalfita sull'esterno di una vecchia abitazione “casa Scolari” (detta “Cà del Tròs”). All'incirca alla stessa datazione si può far risalire anche l'esistenza della attuale via Adamello (e dunque di altre abitazioni) che è posta nella parte più antica e suggestiva del centro del paese.

Intorno all'anno 1100 venne edificata la chiesetta di San Sisto, com'è direttamente testimoniato dalla data del “1141” incisa su una cassetta delle elemosine. Altre due date sono particolarmente significative per definire l'età e lo sviluppo dell'abitato di Cevo: sono scolpite sul fienile di Rò (1226) e su un sasso al “Clèf de la Cèsa” (1274). Nel Medioevo, come per tutta la Valle Camonica, dopo che Carlo Magno e i suoi successori avevano concesso ricchi appannaggi al potente monastero francese di Tours, il vescovo di Brescia, con il titolo di Duca della Valle Camonica, ottenne vasti infeudamenti e possedimenti tanto che i Cevesi e quelli della Val Saviore erano tenuti a versare le decime alla Curia bresciana e, per ottenere il diritto alla caccia, dovevano consegnare al vescovo alcune parti nobili degli animali selvatici, di grossa taglia, uccisi: orsi e lupi, che erano allora abbastanza abbondanti in tutta la zona. Per un lungo periodo, nel medio evo, Cevo fu uno dei pochissimi paesi della Valle Camonica ad essere esentato dalle pesanti investiture feudali che il vescovo assegnava ad alcune famiglie nobiliari camune e bresciane.

Dal XIV secolo, con tutta la Val Saviore, Cevo fu coinvolto nella lunga e anche feroce lotta tra i Visconti, Signori di Milano e La Serenissima Repubblica Veneta. Le alterne vicende che, con divisioni profonde, in pochi anni videro diverse occupazioni militari della Valle da una parte e dall'altra, portarono i rappresentanti di Cevo, sia Guelfi che Ghibellini (a dimostrazione che nel piccolo paese erano presenti entrambe le fazioni), alla pacificazione tra i partiti in lotta, col famoso giuramento solenne che avvenne al ponte Minerva, a sud di Breno: era il 31 dicembre 1397.
Ma le cruente lotte tra i sostenitori di Venezia e di Milano continuarono a lungo e la fedeltà alla Serenissima Repubblica di San Marco, durante i vari passaggi del dominio visconteo, valse agli abitanti di Cevo, dal 23 dicembre 1448, l'esenzione da alcune pesanti imposte. Appena un anno dopo, ai conti di Lodrone: Giorgio e Pietro, vista la loro fedeltà alla causa veneziana, il 14 dicembre 1449 furono assegnati beni e possedimenti oltre che a Cimbergo (e al suo importante castello), a Cemmo, Ceto e anche a Cevo e in tutta la Val Saviore.
Le antiche tradizioni medievali che vedevano le terre di Cevo libere da imposizioni curiali (decime e servitù parrocchiali) vennero ripristinate verso la metà del 1500 e si ripeterono fino al 1633 quando si chiusero definitivamente con il vescovo Giustiniani.
Le calamità naturali sono sempre state tristi e fedeli compagne della lunga storia dei paesi della Valle Camonica ma, tra le più gravi disgrazie camune va certamente annoverata quella enorme frana che travolse il paese di Cevo e che distrusse quasi completamente il vecchio borgo. A testimonianza di quel disastro tuttora riaffiorano, durante lavori di scavo o degli sbancamenti, delle abitazioni sepolte. Come in altri paesi arroccati sulle montagne delle valli alpine, in cui le abitazioni erano quasi tutte costruite (fino al secolo scorso) principalmente con abbondante uso di travi e tronchi di legno e con altri materiali facilmente infiammabili, gli incendi erano frequenti, numerosi e disastrosi: si ricordano a Cevo, tra gli altri, quello furioso del 1590 e quello ancora più devastante, forse causato da un fulmine, che distrusse quasi completamente il paese: era il 22 aprile 1644. Poi ancora: nel breve lasso di un anno e mezzo due grandi incendi distrussero in pratica l'intero antico borgo: il 17 gennaio del 1886 e il 17 giugno 1887. Quest'ultimo, ben documentato, devastò oltre a 50 edifici di civile abitazione (case e fienili), anche il municipio e la scuola. Furono allora segnalate, alle autorità del regno, ben 56 famiglie e 400 persone rimaste senza tetto.

Gli ampi prati che circondano il paese hanno consentito e favorito, per secoli, l'allevamento del bestiame, sia grosso che minuto. Questa era la principale fonte di sostentamento della popolazione che integrava le magre entrate con la coltivazione, anche a quote più basse, di alcuni campi di cereali. Da un censimento del 1857, effettuato dai delegati dell'Impero Austro Ungarico, venivano contate, sulle terre di Cevo, 250 giovenche, 400 capre, 112 maiali.
I tanti muri a secco (pietra su pietra senza leganti come calce o cemento) che sostenevano i campi stavano (e stanno) ad indicare l'intensivo sfruttamento di ogni più piccolo spazio di terreno rubato alla montagna, con grande fatica ed enormi sacrifici.
Durante la terza guerra d'indipendenza, nel mese di luglio del 1866, transitarono da Cevo i Volontari Garibaldini del Quarto Reggimento, al comando del colonnello Cadolini, che era stato stanziato in Valle Camonica a protezione del confine nord con l'Austria. Fu, per quei tempi, una marcia complessa, lunga e difficile che la lunga colonna dei Garibaldini fece partendo da Cedegolo, nel fondo valle, il giorno 16 luglio. Le camice rosse passarono dai borghi di Andrista, Fresine, Valle e proseguirono per Rasega, lago d'Arno, Passo del Campo, Campo di Sotto e dopo dieci giorni (era il 26 luglio) raggiunsero Valle di Roncon dove si acquartierarono, congiungendosi con altre truppe garibaldine.
L'allevamento e l'agricoltura non erano certo sufficienti a mantenere l'aumento demografico della popolazione che subì forzosamente, anche a Cevo, come in quasi tutti i paesi della Valle Camonica, il vasto fenomeno dell'emigrazione che raggiunse il culmine verso la fine del 1800 e l'inizio del 1900. Molti furono i Cevesi che, staccandosi dalla loro terra, partirono, verso le lontane Americhe in cerca di fortuna o solamente per sopravvivere all'endemica miseria imperante in queste contrade.
Dal 1907 al 1922 molti abitanti di Cevo e della Val Saviore, trovarono comunque lavoro nei cantieri che portarono alla costruzione di imponenti opere per il sistema idroelettrico creato sul corso del torrente Poia.

Nel 1910 entrò in funzione la centrale di Isola. Nello stesso anno ebbe inizio la costruzione della diga del lago d'Arno, una della più significative tra le molte che in quel periodo furono erette in tutte le valli alpine e in Valle Camonica in particolare. Questi importanti lavori si protrassero fino al 1921. Ancora oggi il lago d'Arno e il suo sbarramento sono la meta di bellissime escursioni. Questo lago è il più vasto dei laghi alpini artificiali del bresciano e per un breve periodo, nel 1922, il dislivello, di 937 metri, tra la diga e la piccola centrale idroelettrica di Isola fu anche il “salto” artificiale più alto del mondo. La centrale di Isola cessò la sua produzione di energia elettrica nel 1973.
I monti sopra Cevo (Re di Castello, Passo di Campo, Frisozzo, Campellio), che sono inglobati nel massiccio dell'Adamello, furono teatro di aspri e sanguinosi combattimenti durante la prima guerra mondiale e sono ricordati alcuni scontri, con morti e feriti, tra truppe alpine italiane ed austriache, specialmente durante il secondo anno di guerra: il 1915.
Nel 1927, come per quasi tutti gli altri piccoli borghi nell'Italia fascista, per una più efficiente distribuzione dei compiti amministrativi, su ordine del governo Mussolini, il comune di Cevo fu unificato a quello di Saviore formando il comune di Valsaviore. La burocrazia romana non aveva certo tenuto conto delle forti rivalità tra le due comunità e ci furono diverse e accese contestazioni, che rasentarono anche una aperta sommossa, ma i due comuni rimasero uniti fino al 26 aprile 1954 quando ridivennero autonomi nelle loro amministrazioni.

Molti furono i Cevesi, durante la seconda guerra mondiale e dopo la caduta del fascismo che si diedero alla macchia e si arruolarono nella famosa brigata partigiana Garibaldi. Forse anche per questo motivo che durissimi furono i rastrellamenti e le operazioni di polizia messe in campo dai fascisti locali. Il 3 luglio 1944 le rappresaglie culminarono con l'incendio del paese e con numerosi atti di estrema violenza (vedasi la storia della valle). Questa oscura pagina della storia cevese lasciò il paese prostrato: 151 case furono totalmente distrutte, altre 48 danneggiate e 12 saccheggiate. Furono uccise 4 persone. Su una popolazione totale di circa 1200 abitanti, dopo l'azione fascista furono contati ben 800 senza tetto. In ricordo dei fatti della Resistenza, nel luglio del 1979, in località Pineta, fu eretto un monumento.

Anche Cevo, vista la precarietà della vita in montagna ebbe una forte emigrazione che negli anni 1904/1905 raggiunse le 262 unità su una popolazione di 1256 Cevesi, mentre negli anni dal 1946 al 1960 su 1862 residenti fu 173 ad andarsene lontano, anche all'estro.
Dagli anni '70 Cevo, come molti altri paesi della Valle Camonica ha scoperto una sua precisa vocazione turistica e la vicinanza delle splendide montagne della Val Saviore e del gruppo dell'Adamello ha fatto di Cevo un frequentato centro di vacanze estive.
Nel 2006 sul colle dell'Androla, proprio all'inzio del paese, e poco sotto il bivio che congiunge le due provinciali che salgono da Cedegolo e da Berzo Demo, da due direzioni diverse, dove sorgeva isolato il piccolo ma antico santuario, è stato posizionato il grande “Cristo di Jobb” che era stato costruito per la visita del Papa Giovanni Paolo II a Brescia. Un apposito comitato ha proposto, progettato e poi realizzato questo monumento che svetta ed è visibile su gran parte della Media Valle Camonica.

DA VISITARE:
Chiesetta di San Sisto, questo antico tempio sorse quasi sicuramente sulle rovine di un più antico edificio di culto celtico o dove sorgeva un sacello pagano o romano e, come già ricordato nel precedente paragrafo sulla storia di Cevo, fu edificato nel sec. XII. Su un sasso accanto alla cassetta delle elemosine compare incisa la data e la scritta “1141. La limosina di S.Sisto – Se la limosina ai morti farete aiutati da lor nei bisogni sarete”. Solo nel 1500, alla piccola chiesa romanica, fu aggiunto il presbiterio. Altri importanti restauri furono eseguiti nel 1600 e nel 1800. A quest'ultima datazione risale la costruzione del cimitero che in pratica fa da corona all'edificio. Rimangono comunque da ammirare buone parti della primitiva struttura ricordata da alcuni grossi blocchi di pietra squadrati. Rade e piccole feritoie fanno da contorno al lato destro della navata. Degno di nota il campanile quadrangolare adorno di bifore nei quattro lati.
La Parrocchiale di San Vigilio: lla data esatta della costruzione di questo tempio non è sicura tanto che i primi lavori iniziarono probabilmente già verso la fine del 1300 (forse nel 1390-91). E' lo stesso periodo storico in cui fu costruito anche il cimitero. Un'altra data a cui si fa riferimento per l'edificazione è il 1462. Il motivo principale di questa imprecisione, in una costruzione relativamente recente, è riconducibile al fatto che la chiesa, dedicata già a S. Vigilio, fu distrutta da un incendio nel 1590. Fu poi ricostruita in pochi anni (questo si deduce da una data posta sul campanile: 1596). Altri lavori di ampliamento furono eseguiti anche nel 1938. Dunque le numerose modifiche e le ricostruzioni in epoche diverse impediscono una precisa collocazione temporale della prima edificazione. All'interno del tempio si può osservare sopra l'altare maggiore una pala raffigurante il patrono San Vigilio. Si tratta di una grande tela di cm 400×183. L'autore di questo dipinto è ignoto ma l'opera risale al 1600. Nella volta della chiesa i medaglioni affrescati sono databili nel 1700. Una bella Crocifissione è attribuita a Jacopo Negretti, molto più conosciuto come Palma il Giovane. Quest'olio, che misura 145×172 cm, fu trasferito nella parrocchiale solo nel 1962. Fino ad allora era l'opera di maggiore spicco della chiesetta di San Sisto. Questo dipinto è stato fatto traslocare nella chiesa maggiore, dopo il restauro ad opera di Tino Belotti. Da segnalare pure una Via Crucis, datata 1500. Sopra l'altare dedicato alla Madonna sono visibili i “Misteri”, datati 1600. Di interesse artistico non secondario pure una statua del 1700 ed il pulpito intarsiato. Sul lato destro del presbiterio c'è un quadro, realizzato nell'800, raffigurante l'Immacolata, opera del pittore Brighenti di Clusone
Nella piccola ma bella frazione di Andrista sorge Chiesa dei Santi Nazzaro e Celso. Questo tempio fu edificato nel 1400 e fu rimaneggiato nel 1600. Sulla porta del campanile è visibile la data del 1653. Alla base della colonna destra della soasa dell'altare maggiore invece vi è la data 1638. La bella e artistica cancellata in ferro battuto che divide il presbiterio dalla navata è sempre del 1600. Grandi e pregevoli gli affreschi del 1400 (coevi alla costruzione del tempio) raffiguranti San Cristoforo, Sibille, Santi Nazzaro e Celso: sono attribuiti a Giovan Pietro da Cemmo. D'epoca posteriore è l'Annunciazione del presbiterio. Pregevole anche il tabernacolo in legno. Il paliotto dell'altare maggiore, per questioni di sicurezza, è ora collocato nella parrocchiale.
Sempre ad Andrista fu edificata nel 1600 la Chiesa della Madonna del Carmelo . La sua struttura si richiama stilisticamente ad un tardo barocco molto in voga per i templi in Valle Camonica nel XVII secolo. Sull'altare maggiore, custodita da una pregevole soasa, in legno lavorato, c'è una grande pala, datata nel 1600, raffigurante una Madonna del Rosario e Santi Domenico, Caterina e anime purganti. Sulla parete di sinistra del presbiterio è visibile una Madonna con Santi attribuita al Nuvolone.
Il piccolo ma suggestivo santuario dell'Androla sorge su un poggio isolato e panoramico, dal quale si domina la maggior parte della media Valle Camonica. Risalirebbe al XVI secolo, ma fu ricostruito nel 1753 come risulta dall'incisione in un blocco di granito delle pareti; dedicato alla Madonna di Caravaggio, restaurato e ampliato nel 1875. Il pronao è a tre archi su pilastri con capitelli tuscanici che reggono una trabeazione di stile ionico romano; è sormontato da un timpano sul quale si eleva una croce in metallo. Gli affreschi all'interno, del 1875, sono di Antonio Brighenti di Clusone. Nel 2006 è stata posizionata e inaugurata la Croce del Papa, sul dosso di fianco al Santuario. Fu realizzata nel 1998 su disegno dell'artista Enrico Job e posizionata sopra l'altare nello stadio di Brescia in occasione della visita di Papa Giovanni Paolo II per la beatificazione del camuno Giuseppe Tovini. E' costituita da una trave curva che raggiunge i 30 metri d'altezza e in alto campeggia una statua di Cristo in resina dal peso di 500 chili, realizzata da Giovanni Gianese.